Il profumo della danza
Camerino numero uno del Teatro alla Scala, quello dell’ètoile. Lo spettacolo è finito. Dietro il sipario si affaccendano i macchinisti. La tensione, quella che non ti fa sentire stanchezza e dolore fisico è svanita. L’ètoile è stanca. Si guarda nello specchio. Alle sue spalle mazzi di fiori e una piccola folla di ammiratori venuti a complimentarsi. L’ètoile è stanca. Guarda nello specchio e i suoi occhi incrociano quelli del Sovritendente che capisce e congeda tutti. In un angolo c’è Angelo. Rimette le fotocamere in borsa e fa per uscire. L’ètoile lo vede nello specchio e ordina: no, Cozzi rimane: fa parte dell’arredamento. Era il 1986 e l’ètoile dello spettacolo…indovinate un po’?
Angelo Cozzi con i suoi libri sulla danza
“…è stato uno dei più bei riconoscimenti che abbia mai avuto…” ricorda Angelo con la sua minuziosa memoria. Far parte dell’arredamento è segno di professionalità. Il fotografo non deve prevaricare sull’avvenimento. Presenza invisibile è lì per testimoniare. Non è lui il protagonista. Il suo racconto sullo scoprirsi donna sono immagini scattate riprendendo lo specchio davanti al quale l’adolescente sognava. Lo specchio, come per Alice, linea di confine tra due mondi. Qui mi fermo. Questa è un’altra storia. Avremo occasione di raccontarla.
Torniamo alla danza. A quelle immagini di artisti che, senza peso, volteggiano sul palcoscenico. Lo spettacolo non è il momento migliore per capirla, disillude immediatamente Angelo. E se non la capisci come puoi fotografarla nel modo migliore? Il corollario è inevitabile.
“…se vuoi veramente entrare nel mondo della ballerina devi guardarla quando si allena…- racconta -…il passo che lieve e naturale compie sul palcoscenico è il risultato di faticosi e quotidiani allenamenti. Il ballo è ricerca della perfezione. E’ una fatica di Sisifo. La ballerina, nel suo intimo, non raggiunge mai la meta ma, ogni giorno, anche quando è diventata ètoile, fatica per raggiungerla, sapendo bene che non la raggiungerà mai. Non conosco ballerine soddisfatte..”. Madame Bovary c’est moi, affermava Flaubert. C’è molto di questo sentire in Angelo. No, non ha mai indossato un tutù ma: “…mi sento molto vicino allo spirito della ballerina. Anch’io, da sempre, cerco la foto perfetta. Fatico, la inseguo e ho paura di raggiungerla. Se la facessi non avrei più futuro, avrei già raggiunto tutto. Per questo mi sono appassionato al mondo della danza e ho cercato di capirlo con le mie foto. La ballerina è un animale selvatico, che ha bisogno, più di quello domestico, del proprio territorio. L’animale ti attacca se entri nel suo. La ballerina non è più lei, se oltrepassi quella linea di confine …”. Ogni cacciatore ha trucchi per non lasciarsi sfuggire la preda. “ Se vuoi capire la danza devi fotografare gli allenamenti, il lavoro quotidiano della ballerina…” Già questo è un consiglio. Quelli che seguono stupiranno gli appassionati di fotografia perché… non parlano di fotografia. Non mettono al centro dell’attenzione lunghezze focali, sensibilità ISO, tempi, diaframmi e, soprattutto, questa o quella macchina fotografica.
I pass di Cozzi che lo autorizzano a fotografare nel Teatro alla Scala
Quando inizia a enumerarli nasce un equivoco. “…prima di tutto – afferma Angelo – vengono le scarpe. Sono importantissime..” E io penso alle scarpette inevitabile corollario del tutù. L’equivoco dev’essere frequente perché, guardandomi, aggiunge: “…le scarpe del fotografo, naturalmente. Devi muoverti senza fare rumore e un paio di scarpe sbagliate fa la differenza….”. Per capire la danza non devi fotografare lo spettacolo mi aveva detto all’inizio di questo incontro. Me lo ribadisce di tanto in tanto con un “..naturalmente parlo della foto in sala prove…”. Oltre a innumerevoli servizi per settimanali e periodici, a tante mostre, Angelo ha dato alle stampe due libri: “Dentro la Danza” e “Il profumo della danza”. I particolari, raccontatemi i particolari: ordinava Napoleone ai generali chiamati a rapporto sull’andamento della battaglia. Da quelli puoi capire il quadro generale. La parte per il tutto. Angelo procede per sinéddochi visive, scriverebbe un critico fotografico, di quelli paludati. Gli sono amico e glielo risparmio. Angelo ama cogliere i particolari, suggerisco al lettore. “Il profumo della danza” sono venticinque immagini, incollate una per una su spesse pagine di carta uso mano. Ventiquattro sono di particolari. “…anche la danza ha un profumo – confida ad Angelo una ballerina in erba –entro nella scuola di ballo e sento subito il profumo della danza…il legno del pavimento, la sbarra che diventa lucida lucida a forza di sfiorarla con mani e piedi…il raso delle scarpette da punta e anche il cuoio, il gesso, la pece. Perfino la lana dei calzerotti per tenere caldi i muscoli delle gambe…ecco, tutto questo è il profumo della danza…ma, forse, c'è altro..è un profumo che sente solo chi balla..è un profumo che nasce "dentro", fatto di attimi, sensazioni, gesti, sfumature, dettagli….". “..parlo molto con le ragazze – spiega Angelo il segreto delle sue immagini – per entrare nel loro mondo. Ho fatto molte domande ma ho avuto poche risposte. Allora ho rubato dagli atteggiamenti, da come rispondevano alle mie domande. E’ un mondo misterioso e inaccessibile nel quale ho avuto la fortuna di dare una sbirciatina. Ma la danza resta sempre una questione personale della ballerina, una cosa solo sua che solo lei può capire a fondo”.
I ricordi si affollano nelle parole di Angelo, nitidi, precisi come appena accaduti. Quando fotografa lo spettacolo, preferisce stare, come si dice, in quinta, tra le quinte del palcoscenico. “…non m’interessa lo spettacolo – dice – ma il momento prima e quello dopo. La piccola storia vera. Litigi compresi. I peggiori improperi non li senti tra gli scaricatori di porto, ma escono dalla bocca delle Belle Addormentate, delle Giselle, degli Zampanò e delle Gelsomine. Non sono litigi tra pescivendole, ma dispute fra étoile…”. E tutto su cose che a noi, comuni mortali, sembrano di nessun conto: chi esce per primo sul palco, chi ci sta di più e simili banalità dall’alta valenza simbolica. Poi il pubblico chiama e chi aveva berciato i peggiori insulti si prende per mano, sorridente, avanza sul palcoscenico, s’inchina ringrazia. La disputa continua appena cala il sipario.
L’autografo di Carla Fracci sulla copertina della Domenica del Corriere, per ringraziare Angelo Cozzi di averla realizzata
“..ricordo una litigata clamorosa di Nureyev con i macchinisti di scena. Non ricordo il motivo, ricordo benissimo che Nureyev afferrò un pesante candelabro e lo lanciò sul pianoforte, sfondandolo….”. E le piccole ma inderogabili manie scaramantiche. Anche questo è il mondo della danza: quello piccolo delle bambine che iniziano, quello grande delle étoile. “...certo, chi non danza non ci può capire – svela una giovane allieva della Scuola. Ci prenderebbe per matte, se vedesse come trasformiamo tutto quello che indossiamo durante le lezioni….un taglio in un punto della calzamaglia per sentirsi più libere, lo scialle di lana annodato in un particolare modo, via le maniche della maglietta…è fare amicizia con le cose…”. “…credo di essere stata l’unica persona che poteva avvicinare la Fracci fino a pochi minuti prima dell’entrata in scena –confida Angelo-…erano almeno dieci le paia di scarpette che provava, annodava, toglieva, rimetteva, scartava, riprendeva, prima dello spettacolo..”. Dal cassetto di uno di quei grandi armadi dove ha tutto catalogato, estrae uno scialle rosa, di lana morbidissima. E’ un regalo della Fracci. “…in sala prove e prima di entrare in scena, sopra il costume, indossava sempre uno scialle. Erano fatti a mano dalla mamma. Guai se non ne aveva uno, ma di quelli della mamma. Li portava ovunque in tourné. Un giorno mi regalò questo…”. La stima della Fracci per “l’oggetto di arredamento” è testimoniata da tanti piccoli episodi. “..quando uscì il numero della Domenica del Corriere con la copertina dedicata a lei – racconta Angelo – una copertina fatta in studio, concessione eccezionale, mandò subito a comperarne una copia, che mi inviò, firmata in copertina: “grazie, Carla Fracci”. Quella copertina adesso è davanti a noi che parliamo, assieme allo scialle della mamma e un paio di scarpette rosa. Frammenti di stima. Ricordi nei quali trovi i personaggi, i miti. Il teatro Alla Scala di Milano, la sua scuola di danza e la mitica Anna Prina, la direttrice. “…avevo chiesto di scattare foto durante le lezioni. Impossibile mi rispose la Prina….”. Non ho conosciuto la famosa direttrice, ma conosco bene Angelo. Impossibile non è parola del suo vocabolario. A volte penso sia l’incarnazione di un generale antico, di quelli che, iniziato l’assedio di una città, testardi e definitivi riuscivano sempre a espugnarne le mura. E’ un panzer gentile. Prina capitolò, con l’onore delle armi. La prima volta non gli concesse tutta la scuola, solo dieci allieve, a sua scelta, da riprendere nel foyer. Poi vide le foto e si ammorbidì. Tanto che Angelo divenne il maggior collezionista di “cartellini rossi”. No, non hanno nulla a che fare con quelli del calcio. Alla Scala di Milano chiamano così i pass dei fotografi. Un giorno, addirittura, il capo ufficio stampa del teatro s’insospettì e s’informò direttamente presso la Direttrice Prina della regolarità di tutti quei permessi.
Oriella Dorella
La prima foto scattata da Angelo Cozzi alla Dorella, allieva della scuola di ballo della Scala
“…grazie alla scuola di ballo della Scala ho fatto amicizia con molte ballerine. Alcune hanno avuto successo, altre no. Molte sono state mie modelle…”. Tra quelle dieci allieve concesse ad Angelo, la prima volta che chiese di fotografare la scuola, una era destinata a diventare étoile: Dorella Oriella. “…era il sette maggio del 1963, dovevo fare un servizio sulla scuola per conto del settimanale Grazia, allora diretto da Renato Olivieri – ricorda Angelo con indefettibile memoria – non ebbi il permesso di entrare nelle sale. In compenso mi presentarono un gruppo di dieci bambine del secondo anno, in tutina bianca. Mi dissero che potevo fotografarne qualcuna nel foyer. Scelsi, senza esitazione, Dorella, per i suoi occhi…”. Ricorda ancora oggi, quegli occhi che lo incantarono:”…fotografo da più di sessant’anni e non vidi mai occhi più belli…”. Una pausa, un attimo di silenzio sospeso. Nell’aria aleggia quell’odore sottile, conosciuto da chi ha praticato la fotografia prima del digitale. Quel sentore un po’ acidulo, respiro delle pellicole passate nei bagni di sviluppo. I ricordi, con Angelo, non hanno mai il dolore del tempo passato. Si diverte raccontando di quando propose la Dorella, ragazzina di sedici anni, quale protagonista della campagna per l’intimo giovane de La Perla: castigatissimi slip, sottovesti, guepière da educande, reggiseni. Immagino la faccia del patron de La Perla quando gli presentò Oriella. Saranno pur stati belli gli occhi ma, per il resto: “…un disastro…” disse. Si fidi e lasci fare a me, ribatté Angelo, incurante della filosofica contraddizione in termini del dover far presentare una serie di reggiseni a una ragazza che, come tutte le ballerine classiche, seno ne aveva poco. Angelo trova sempre una soluzione a tutto. Una piccola imbottitura e …grande successo. Campagna pubblicitaria da ricordare. La ricorda anche Oriella che, a Cervinia, posò davanti a una gelida cascata d’acqua e per poco non prese una polmonite. In un racconto di Borges, Funès, il protagonista, ha la stupefacente prerogativa di ricordare tutto nei minimi particolari. “…era l’11 di luglio del 1968 – m’informa Angelo – eravamo sopra i duemila metri e dal Cervino tirava un gelido venticello…”. Dorella sopravvisse e continuò la sua avventura di modella fotografata da Angelo: UPIM, biciclette marca 2000 Rizzato, elettrodomestici Philco, speciali nelle pagine dei settimanali. Tra tutti i servizi fatti con lei Angelo ne ricorda uno in particolare. Il tema erano le vacanze sull’acqua. La location il lago di Como e il giornale la Domenica del Corriere. Un bel servizio di sedici pagine per i lettori. Una intera borsa di Nikon allagata dalle onde, alzate dalla Dorella che, pilotando il motoscafo, si divertiva a bagnare Angelo con virate da neofita. Ma anche questo era lavoro, mentre continuava nella fatica della danza che l’avrebbe portata a coronare i suoi sogni di bambina. Quando già i palcoscenici l’applaudivano, un’altra trovata di Angelo.
Le foto che Angelo Cozzi fece alla Dorella per Playboy furono firmate con la prestigiosa dicitura di “saggio fotografico”
“…era il 1981, Luigi Reggi, un amico che aveva lavorato molti anni con me alla Domenica del Corriere, dirigeva l’edizione italiana di Playboy. Dorella era étoile a La Scala; i giornali parlavano molto di lei. Stava partecipando a Fantastico, varietà televisivo. Le proposi un servizio per Playboy”. Il passaggio segreto, per conquistare la prevedibile cittadella di motivati no fu Isadora Duncan. Proprio lei, la famosa ballerina. Quella che, dicono le enciclopedie, inventò la danza moderna. Era la segreta passione della Dorella. “…feci leva sulla Duncan e…finalmente accettò. Unica condizione: non posare nuda ma coperta appena da veli trasparenti…”. E furono due impalpabili e fluttuanti vesti, tanto eteree quanto costose. E’ un segreto che Angelo non vuole rivelare, ma che valse la pena anche secondo il contabile della Rizzoli che pagò la fattura. Quel numero di Playboy, con la Dorella fotografata sulle spiagge di Haiti, spopolò. Era la prima volta che la rivista pubblicava immagini d’autore e il direttore ne diede atto a Cozzi, firmando il servizio non con il solito” servizio fotografico di…” ma con un più impegnativo “Saggio fotografico di Angelo Cozzi”.
Protagoniste di saggi fotografici, campagne pubblicitarie, mostre, workshop furono anche altre ballerine, conosciute alla scuola de La Scala.
La Dorella, per alcuni anni, lavorò in esclusiva come modella e ragazza testimonial per Angelo Cozzi
“…era una Photokina di tanti anni fa: la grande fiera della fotografia che si tiene ogni due anni a Colonia, in Germania. Fui invitato dall’Agfa per un workshop da tenersi nel suo padiglione. All’epoca lavoravo molto sul tema dell’adolescenza femminile. Il workshop verteva su quell’argomento. Portai con me Gaia. Era una di quelle otto bambine che la Prina mi presentò, la prima volta che chiesi di fotografare alla Scala, oramai adolescente. Arrivai in fiera e, subito, con molta professionalità, i miei anfitrioni spalancarono le porte di un magazzino stipato di un ben di dio fotografico: flash e faretti, bank e ombrelli, fondali e riflessi. Non si poteva desiderare di più. Potevo scegliere tutto quello che volevo per il mio wokshop….”. Immaginate il teutonico stupore quando Angelo, col suo migliore sorriso, disse:”….non mi serve niente di tutto questo, ho bisogno solamente di uno specchio da camerino, di quelli con le lampadine bianche attorno…”. Richiesta minimale e perciò singolare per un fotografo di fama. L’accontentarono, certo un po’ preoccupati del buon esito del workshop. Fu un successo e anche giornata di grande fatica e tensione. Stemperata, al termine, spente le luci della ribalta, in un pianto dirotto di Gaia. Fu proprio quel pianto, confessa oggi Angelo, a fargli scegliere Gaia come protagonista della serie di reportage per il mensile Tuttoturismo. Il mondo visto attraverso gli occhi di un’adolescente. Era Gaia, con la sensibilità svelata da quel pianto, a scrivere i testi e suggerire gli scatti ad Angelo. C’è da ricordarlo? Anche questo fu un successo. Ma questa è…un'altra storia.
RUOTA LO SMARTPHONE ORIZZONTALE per una visione ottimale della galleria